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Ragazzi ambiziosi

Audacia e ambizione hanno un nuovo volto a Padova. Abbiamo seguito la neo promossa Valsugana Rugby nella sua prima uscita ufficiale al Torneo degli Angeli lo scorso sabato, raccontandone i valori e la cultura.

(foto di Giulia Belluco)

E’ il primo di settembre e sono alla clubhouse del Valsugana Rugby di Padova.

La mattina è rischiarata da raggi di sole caldi ed imprevisti, dopo il temporale della notte prima che ha rinfrescato l’aria. Come tutte le altre volte che sono stata qui, si respira un’atmosfera di casa tra i campi da gioco verdi e umidi di rugiada, i bambini delle under corrono in giro, tra i fumi della griglia già rovente alle dieci del mattino, e un formicaio di persone si agita tra le panche della mensa in attesa del pasto prepartita.

Conto circa trenta ragazzi, tutti in maglia blu del Valsu, un mare che si distende a perdita d’occhio di gente che sorride e si riunisce entusiasta al primo pasto della mattina. La colazione, la famiglia.

Sono qui perché seguirò per la redazione di The Rugby Channel la prima squadra del Valsugana Rugby nella loro prima uscita ufficiale, in vista dell’imminente inizio di campionato il prossimo 15 settembre.

La prima squadra ha vinto la promozione in Top12, insieme al Verona Rugby, nella stagione 2017/2018, dopo aver disputato due gare durissime contro il Cus Genova. Era il 13 maggio e intorno al campo del Valsugana, o sugli spalti, non c’era uno spazio libero.

La squadra parteciperà oggi al Torneo Degli Angeli di Udine, ormai giunto alla sua quinta edizione, organizzato da Andrea Muraro, ex petrarchino e pilone della Nazionale Azzurra. Andrea ha perso suo figlio Zaccaria nel 2012 a causa di un neuroblastoma, un tumore che colpisce i bambini in tenera età. Oggi si giocherà a rugby per beneficenza, ricordando tutti i bambini che lottano contro le malattie oncologiche, sostenendo l’Associazione Italiana Neuroblastoma, con sede a Genova, che contribuisce con i propri finanziamenti alla ricerca contro questo tumore e all’Associazione Luca Onlus di Udine che opera a sostegno delle famiglie che vivono questa difficile esperienza di malattia.

Al Rugby Stadium Otello Gerli di Udine si affrontano quattro squadre del massimo campionato italiano di Top12: i campioni in carica dell’Argos Petrarca Rugby, San Donà, Mogliano Veneto e i neo promossi Valsugana Rugby.

Sono alcune tra le migliori d’Italia che diventano la forza propulsiva a sostegno della ricerca, a sostegno di chi ha più bisogno.

Il viaggio per raggiungere Udine lo farò insieme al gruppo del team management della prima squadra e uno dei giocatori al momento infortunato. Subito dopo avermi conosciuta, mi trattano come se avessi sempre fatto parte del gruppo.

Mi ritrovo immersa in una raccolta di ricordi personali, esperienze passate, racconti enfatizzati, che documentano più di vent’anni di attività del Valsugana. La storia del club è quella di una generazione di donne e uomini, padri e madri, le cui attività si sono trasformate in un movimento attento alle esigenze dei ragazzi della periferia di Padova, negli anni ottanta. Attraverso le loro voci riuscirò a capire cosa rende così particolare il loro ambiente sportivo, quali sono i valori aggiunti di questo ormai storico club di Padova, rispetto a tutti gli altri.

Quando cammino per le strade del centro di Padova, mi capita spesso di incontrare ragazzi che vestono la maglia del proprio club. Con spalle e sorrisi larghi, camminano o vanno in bici verso l’Università o ritornano da lavoro giusto in tempo per l’allenamento. Stanchi a fine giornata, o assonnati la mattina presto, li contraddistingue un’attitudine e un’etica che solo il rugby è capace di forgiare: sono l’immagine di un futuro pieno di possibilità.

La prima persona che incontro appena arrivo è Lorenzo Maso, flanker titolare classe ’92, con un’esperienza d’Eccellenza nel club di San Donà. Lorenzo, alto, di modi aperti e cordiali, e con un ardore naturale nonostante le stampelle, oggi non potrà scendere in campo a causa di un piccolo infortunio al piede. Perdersi l’occasione di giocare oggi lo rabbuia ma i suoi pensieri sono rivolti alla prima giornata di campionato, quando il Valsugana affronterà i vicini di casa e campioni in carica del Petrarca Rugby, al Plebiscito di Padova.

“Gli anni delle giovanili li ho passati al Petrarca” mi racconta "sono cresciuto lì come persona e giocatore e ciò resterà indelebile dentro di me”.

Dopo un’esperienza a Torino e poi al San Donà, Lorenzo è tornato al Valsugana perché sapeva che era giusto così, tornare a casa, ritrovare quella dimensione ideale in cui senti te stesso rifiorire, crescere. “Dal primo momento in cui arrivi (al Valsu) si crea qualcosa di più forte del solito legame con il compagno di squadra, è proprio un’amicizia vera. I nuovi arrivati, Etienne, Ellis, Geronimo, non capiscono ancora molto bene la lingua ma sono coinvolti, su tutti i livelli, ognuno di noi si fa capire a proprio modo”.

La cosa che ci lega di più fra tutte è il rispetto per l’altro. Non usciamo sempre insieme, abbiamo vite diverse oltre a quella legata al rugby. Molti di noi studiano, altri lavorano, quindi abbiamo ritmi differenti. Alcuni la sera scappano a casa perché sfiniti da una giornata di lavoro, altri invece hanno voglia di uscire e far tardi, ma il rapporto resta sempre uguale. Non ci sono preferenze in spogliatoio, è uguale per tutti, ed è bellissimo”.

“É una storia che va avanti da anni al Valsu” dice Tairo Trento, che ora fa parte del direttivo della squadra maggiore ma vanta un passato da ex giocatore che, quando la vita si è messa in mezzo tra lui e la sua passione per il rugby, ha ripreso a giocare per amore, spinto dall’entusiasmo della sua amata compagna.

“Il gruppo che abbiamo adesso è cresciuto tutto insieme, almeno dieci ragazzi nella rosa si conoscono da quando avevano sei anni. Nel corso degli anni abbiamo investito nelle strutture, abbiamo dato ai ragazzi un luogo dove ritrovarsi, dal giocare a monopoli fino ai videogiochi, solo per farli stare insieme. Spesso restano solo a parlare. Non fanno niente ma lo fanno tutti insieme”.

Oggi i ragazzi e le ragazze del Valsugana hanno un luogo dove trovarsi, quando hanno del tempo libero, organizzano un pranzo o una cena, prendono il sole, si lavano la macchina, stanno semplicemente insieme. Se vogliono bere due birre in più lo fanno e poi restano a dormire lì, in spogliatoio, nelle case del Valsu, sui lettini.

Quella è casa loro.

Valore aggiunto

“Quando mio figlio mi dice che esce con i suoi compagni di squadra sono serena perché conosco quei ragazzi da quando sono piccoli e mi fido di loro come di mio figlio” mi ha detto una volta la mamma di un ragazzo dell’under 18 del Valsugana che ho incontrato per caso in giro per Padova.

Quando hai a che fare con questo club ti sembra di guardare dentro la casa di una grande famiglia, composta da membri di tutte le età ed estrazioni sociali, che vanta un albero genealogico così ampio che non bastano due campi da gioco per contenerlo tutto, un nucleo familiare che ha più l’aspetto di un formicaio, i cui canali, o braccia accoglienti, si diramano per tutta la città e ti trovano anche negli angoli più remoti dove pensavi di essere solo.

La sua forza attrattiva, dovuta principalmente al calore umano di cui è intrisa la società, ti fa desiderare di tornare non appena vai via e, anche se ti chiami Luca Roden e giochi a Roma, nella città più bella del mondo, fai di tutto per tornarci, per tornare a casa.

“In alcune società quello che vedi è solo un gruppo di ragazzi che sono stati estraniati da un luogo e portati in un altro, al Valsu invece ti ritrovi tra persone che sono nate e cresciute qui dentro. Questo è il lavoro sul quale spinge da sempre la società, insieme ai tecnici: pensare alla crescita dei più piccoli e al ricambio generazionale. Questo è ciò rende la maglia del Valsu quello che è oggi”.

MI spiegano che quando metti la maglia del Valsu, ti stai mettendo “La Maglia del Valsugana”. La percepisci tua, di tutti quelli che fanno parte di questa famiglia, di quelli che l’hanno indossata prima di te e che tu da piccolo guardavi giocare con venerazione. Non è un lavoro come un’altro. Non lo è affatto, è questo il punto.

Alcuni ricordano esperienze in altri club dove, finito l’allenamento, ognuno andava a casa propria e quello che c’era al di fuori della squadra era niente. “Mentre qui al Valsugana, la società, i tecnici e gli accompagnatori, vivono e comprendono il rugby al 100%. Tutto si amalgama insieme e convivere diventa una cosa bellissima, sia da parte dei giocatori che da quella dei dirigenti”.

Tairo mi spiega che tutti sono coinvolti al Valsu, alcuni dei dirigenti hanno i figli che giocano nelle categorie dei piccoli, ci sono ex giocatori che ancora tornano ai campi per vedere come se la cavano i ragazzi più grandi.

Il bambino di otto anni che ha appena iniziato a giocare e trascina la madre a vedere le partite enunciando estasiato i nomi dei giocatori della prima squadra.

Il pubblico misto che si ritrova coinvolto piacevolmente in un coro di voci che fanno il tifo, dimenticandosi del caldo torrido o della pioggia battente. Quelli che vengono solo una volta ogni tanto e, dopo un paio di birre in compagnia nell’affollata clubhouse, vanno via nostalgici ripromettendosi di tornare più spesso.

Nessuno è estraneo al Valsugana, penso. Nemmeno io, che vengo da parecchio lontano e la prima volta che l’ho vista credevo di essere nel giardino di casa di qualcuno. Credevo di esserci già stata.

Quali che siano i difetti della società del Valsugana hanno davvero poco impatto sui ragazzi che ne fanno parte, l’attenta dirigenza fa sempre in modo di assorbirli e soprattutto fa in modo che i ragazzi ne vengano solo sfiorati. Per il team dirigente l’importante sono loro, i ragazzi.

"Tutto gira intorno a loro, ogni cosa che facciamo è dedicata ad ognuno di loro”

Il Valsugana è nato così, cullato da questa filosofia.

All’inizio degli anni ottanta il quartiere di Altichiero non era uno dei migliori di Padova, c’era droga per le strade e, al di là della parrocchia non esisteva un luogo per ritrovarsi, specie per i giovani di allora. Da questo scenario scaturisce il desiderio di un professore di educazione fisica che voleva fare ardentemente qualcosa per i ragazzi del luogo, toglierli dalla strada, riunirli da qualche parte e distrarli.

Così è nata una piccola squadra di rugby, il Sacro Cuore, nome preso in prestito dalla parrocchia nei cui campi si giocava. Poi ufficialmente nel 1982, il piccolo club si è allargato, la gente ha cominciato a portare i figli a giocare, i figli i nipoti, e ancora altri bambini, così avviene il trasferimento ai campi di Altichiero, la sede ufficiale della squadra oggi, e il nome viene cambiato in Valsugana Rugby Padova.

Si dovrà attendere fino al 2000 perché nasca il progetto del minirugby, che oggi è appunto il vero settore trainante del club. Nel 2004 la squadra ha fatto il primo salto di categoria, raggiungendo la serie B; nel 2007 nasce la sezione femminile (con 3 titoli di campionesse all’attivo), e poi la serie A nel 2013. Infine, quasi a sorpresa, il Valsugana ottiene la prima storica promozione nel massimo campionato italiano d’Eccellenza, ora Top12.

Un traguardo che non faceva parte dei piani di nessuno, un obiettivo che era ben lontano nella mente di quel professore di educazione fisica il cui unico desiderio era solo fare qualcosa per i ragazzi. Lasciargli qualcosa e aiutarli a tramandarlo.

Il tempo e le cose sono decisamente cambiate dai lontani anni ottanta, ma lo spirito che aleggia al Valsu, tra la panche, i campi, gli spogliatoi, è sempre quello: fare qualcosa per gli altri.

“Lo hanno fatto per me quando ero piccolo” dice Tairo “e oggi, a 44 anni, trasmetto ogni giorno lo stesso messaggio ai ragazzi e alle ragazze del Valsu. Noi ci siamo e lo facciamo per voi”.

Questi ideali rappresentano lo stesso terreno fertile sul quale è nato il Petrarca Rugby, molti anni prima rispetto al Valsugana. Ne parlo con Lorenzo che allo stadio Memo Geremia ci ha trascorso gli anni delle giovanili.

“Il Petrarca è un altra splendida realtà di Padova. Lì puoi lasciare tuo figlio libero a girovagare e lo ritroverai a correre per i campi, al lago con le papere, al campo da volley, da basket. Si respira un’altra aria e una diversa attitudine, che impari a portare con te nella vita di tuti i giorni. Resti per sempre petrarchino, quel club ti forma nei modi e nel carattere. La mentalità e la dedizione al lavoro, a prescindere da tutto, l’ho ereditata al Petrarca” prosegue Lorenzo, “l’educazione, l’attitudine, mi ha segnato e mi ha reso in parte quello che sono oggi”.

Sono due ambienti diversi: il Valsugana è una famiglia accogliente, il Petrarca è da sempre il simbolo di una città che ha vinto 13 scudetti, dove la vittoria è quasi imposta.

“Prima di ogni finale di campionato, il presidente veniva a farci il discorso per dirci che dovevamo vincere. Lo vedevamo solo una volta all’anno, le altre volte che lo incontravamo erano quelle prima delle partite contro Rovigo, alla quali forse teneva di più (ride)”.

Ragazzi ambiziosi

Quando arriviamo ad Udine, i ragazzi sono i primi a solcare il campo per il riscaldamento. “Siamo pronti” dicono durante una breve pausa “oggi testiamo i meccanismi”.

Il cielo regge solo fino al fischio d’inizio, poi una pioggia torrenziale si infligge sul campo perfetto dell’Otello Gerli, e su un Mogliano solido che però, sfruttando la superiorità in mischia chiusa, ottiene subito una meta tecnica, i primi punti della partita.

La pioggia cessa e si alza il vento, i padovani, agonistici e molto presenti in difesa, pareggiano con una meta di Varise sfruttando una distrazione in un punto d’incontro nei 22 dei biancoblù.

Questi però non si scompongono e sfruttano i palloni di recupero marcando due mete con D’Anna e Pavan. A dieci minuti dalla fine del primo tempo, a causa della mancanza del numero delle prime linee del Valsugana, vengono disputate mischie no-contest, con i ragazzi di Polla Roux che restano in 14 in campo.

Questa anomalia penalizza anche il Mogliano di Andrea Cavinato che non testa fino in fondo il suo piano di gioco ma gli permette comunque di focalizzarsi su alcuni punti come la linea difensiva sulle partenze che gli avversari innescano proprio dalla chiusa.

Nel secondo tempo arriva la quarta marcatura del Mogliano, ad opera del capitano Guarducci, ed infine seguono molte occasioni e tentativi da entrambe le parti ma il punteggio non si muove più e la gara termina 28 a 12 per la squadra di Cavinato, i cui giocatori ritrovano il gusto della vittoria.

I ragazzi del Valsugana spiccano anche solo per il loro portamento: tengono la schiena dritta e non abbassano mai lo sguardo mentre escono fuori dal campo battuti, emanando la sicurezza di chi è consapevole del proprio valore.

E’ una lezione che hanno imparato sin da piccoli in società, quella casa che raggiungono da ogni parte della città, facoltà, lavoro, accorciando ogni volta quei chilometri che sono la distanza tra loro e i loro sogni, la famiglia che si sono scelti.

“Siamo contenti” mi dice il capitano Jacopo “Toro” Pivetta a fine partita, mentre sugli spalti assistiamo al secondo incontro della giornata: Petrarca-San Donà.

“Gli obiettivi che ci eravamo dati li abbiamo portati a termine. Non volevamo fare chissà che cosa, volevamo solo provare quello che abbiamo preparato nelle ultime settimane ed essere aggressivi. Io ho visto una bella aggressività e difesa”.

“Abbiamo dimostrato tantissimo oggi, nonostante qualche difficoltà fisica. Dobbiamo migliorare su alcuni aspetti ma l’atteggiamento resta buono e positivo” aggiunge Fabio Faggiotto, team manager.

Sulla via di ritorno verso Padova appare chiaro sui volti dei ragazzi del Valsugana che sono ben consapevoli che questo non è il mondo dei sogni e che non ci sono sconti o garanzie.

Potrebbero impiegare mesi per adattarsi al ritmo della categoria d’eccellenza. Potrebbero non raggiungere tutti gli obiettivi fissati e richiesti dal massimo campionato italiano di rugby, e uscire sconfitti dal campo più volte di quante lo faranno da vincitori.

Ma fanno parte di una comunità solida e grande, ed essere arrivati fin qui gli da già la possibilità di cambiare il futuro.

La realtà di questo club, fatta di valori aggiunti e ambizioni, merita di essere messa in luce, sotto i riflettori più luminosi, sul palcoscenico più competitivo a livello italiano, merita di essere raccontata e tramandata ancora per generazioni.

“È bello che abbiano un sogno, e noi dobbiamo fare il possibile per aiutarli a realizzarlo” dice Tairo.

Forse, “invece di diventare i primi in classifica, lotteranno per salvarsi diventando i più combattivi e ambiziosi del campionato, un’ulteriore ispirazione per tutti i piccoli rugbisti che verranno".

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